giovedì, gennaio 26, 2006

Giornata della Memoria

REPUBBLICA - NAPOLI

26 GENNAIO 2007


“LA STORIA DEGLI ESCLUSI DALLA RAZZA UMANA"

di Giuseppe Nitto



Celebrando la Giornata della Memoria, non va sottaciuto l’impatto che ebbero le leggi razziali promulgate in Italia nel 1938. Con esse infatti inizia la persecuzione antisemita, foriera di ignobili conseguenze nei confronti degli ebrei italiani, inclusi quelli napoletani (sul punto segnalo il bel documentario “Dal cancello secondario, storie di ebrei a Napoli”, a cura di Gabriella Gribaudi, regia di Alessandra Forni e Fabio Esposito, Ed. Xila, 2003), dei quali ricorderemo un bambino, Sergio De Simone, narrandone in seguito la tragica sorte.

Tali leggi non furono emanate soltanto per compiacere l’alleato (il Duce non volle demeritare agli occhi del Fuhrer quanto a zelo antisemita), dopo le Leggi di Norimberga (1935), e in ogni caso, rilevare una diversità tra le leggi italiane e naziste, deducendo correttamente che in Italia non si creò un “clima” da Kristallnacht, non deve indurre a nessuna indulgenza verso i teorizzatori del sedicente “razzismo spiritualista” (i firmatari del Manifesto della Razza) e i volenterosi legislatori. Infatti, le conseguenze furono pesantissime, culminando nelle deportazioni ai campi di sterminio, cominciate il 16 ottobre ‘43 con la Judenoperation nel Ghetto di Roma, ad opera di SS con la corrività di poliziotti italiani. In realtà la deportazione e lo sterminio industriale degli ebrei europei furono il criminale apogeo di un genocidio pianificato nel ’42 nella Conferenza del Wansee (presieduta da Heydrich, luogotenente del Reichsfurhrer Himmler, che nel ‘36 incontrò il capo della Polizia italiana Bocchini, circa le misure da attuare contro gli ebrei italiani), che ebbe il proprio fulcro nelle leggi razziali. Queste si prefiggevano lo scopo di espellere dal consorzio civile i giudei, spogliandoli dei loro diritti e dei loro beni, costringendoli all’emigrazione e alla ghettizzazione per deportarli, schiavizzarli e annientarli: l’Europa andava resa Judenfrei, compresa l’Italia. Gli ebrei italiani dunque si misurarono con leggi che perseguivano la difesa di un’immaginaria “razza italica”, dai loro belluini complotti globali, propagandati nel falso libello dei Protocolli dei Savi di Sion: ma quali furono gli effetti nella vita quotidiana? Osserviamone alcuni entrando idealmente nella casa di una famiglia ebrea di Napoli…

C’è il capofamiglia che compila il Questionario inviato dal Ministero della Demografia e Razza per censire gli ebrei: è un italiano orgoglioso, che guarda la Medaglia ricevuta dal padre dopo la Grande Guerra, chino su quella burocratica scartoffia, ove dovrà vergare di appartenere alla razza ebraica. La radio presso la quale la famiglia la sera si riunisce, va consegnata al più vicino Commissariato. Titina, la fedele domestica che i ragazzi chiamano zia, va licenziata: i giudei non possono avere servitù ariana. I ragazzi devono lasciare la scuola, oppure, come nel raro caso della scuola elementare Vanvitelli di Napoli, frequentarla in una classe di soli scolari ebrei, con gli alunni divisi e completamente isolati dagli altri. Intanto il laborioso capofamiglia perde l’impiego o si vede espropriato il negozio in cambio di un’insulsa indennità. Deve rinunciare alla docenza universitaria e non può esercitare una professione liberale. La dignitosa serenità economica costata sacrifici, è sostituita da una vita stentata, e i gioielli, ricordo di un Nissùin o di un Bar Mitzvàh, finiscono al Banco dei Pegni: i banchieri giudei demoplutomassoni impegnarono i più cari ricordi per sfamare i figli. E i fidanzati in procinto di sposarsi? Lui giudeo, lei ariana, non possono contrarre matrimonio: è proibito, così come prestare il servizio di leva. La lista delle ulteriori, odiose proibizioni sarebbe lunga, giacchè ai nostri legislatori non difettò la fantasia, sebbene le interpretazioni delle norme suscitarono non pochi dilemmi, costringendo il regime, la tragedia sconfinò nella farsa, ad emanare pletore di circolari affinché, riluttanti funzionari e miserabili Podestà, le applicassero senza esitazioni. Renzo De Felice osservò che con le leggi razziali il fascismo “divorziò dal popolo italiano, dalla sua mentalità e dalla sua storia”, poichè l’antisemitismo era estraneo agli italiani e il pregiudizio sui perfidi giudii, obliquamente diffuso dalla Chiesa Cattolica, aveva matrici piuttosto religiose che razziali. Tuttavia, se la maggioranza del popolo italiano non prese parte alle persecuzioni antiebraiche, – anzi: quanti ebrei furono salvati – il suo peccato inescusabile fu di aver tollerato, nell’indifferenza conformista, la promulgazione di leggi ripugnanti. Nessuno comprese che il “momento” normativo era soltanto il preludio della Soluzione Finale: nel giro di 6 anni, infatti, migliaia di ebrei finirono nei crematori di Auschwitz - Birkenau. E fu quel clima, provocato dalle sciagurate leggi, che instradò il tragico destino di un piccolo ebreo napoletano del Vomero: Sergio De Simone. Sergio e la madre Gisella Perlow, natìa di Fiume e sposata con Eduardo (sotto le armi dal ‘40), vissero a Via Morghen in solitudine e in un ambiente se non ostile, certamente indifferente ai loro penosi travagli, eccettuati i premurosi vicini, i Parlato, e un’amica di Gisella, Piera Nardi anch’essa di Fiume. Nel luglio del ’43 Gisella raggiunse la propria famiglia a Fiume: ma se fosse rimasta a Napoli, lo sbarco alleato e il successivo armistizio l’avrebbero vista al sicuro con Sergio. Infatti, proprio a Fiume, infestata di repubblichini e di SS, Sergio, Gisella, la sorella Mira, le nipotine Andra e Tatiana, furono rastrellati e tradotti ad Auschwitz, dove Sergio diventerà il n° A179614. Gisella, Mira, Andra e Tatiana miracolosamente sopravvissero, mentre Sergio, cavia del famigerato Mengele, sarà deportato in un Konzentrationlager vicino Amburgo, dove incontrerà due orchi: il medico Heissmeyer, che gli inoculerà la tubercolosi, e la SS Strippel che lo impiccò insieme con altri venti bambini, cremandone le spoglie il 20 aprile 1945: aveva 7 anni, Sergio.

Da Via Morghen a Fiume; dal kinderblock di Birkenau al camicie bianco di Mengele e, infine, tra le rovine del Reich, la scoperta degli orchi: questo, lo sfortunato tragitto di un bambino napoletano, vittima delle leggi razziali e della colpevole indifferenza che lo circondò.

Oggi Sergio avrebbe 70 anni. Avrebbe avuto figli e nipoti, invecchiando serenamente.

Lo ricordiamo commossi e addolorati perché non avemmo il coraggio di proteggerlo, di accoglierlo e di amarlo come uno di noi: di razza umana.

GIUSEPPE NITTO - Direttore del Centro Studi Volcei